Gabriele Toneguzzi

L’urbanistica estromessa: il progetto della base Usa nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza

Nuova base Usa di Vicenza: rendering edifici del quartiere generale di battaglione; cortesia  vagapuntoinfo.wordpress.com

Nuova base Usa di Vicenza: rendering edifici del quartier generale di battaglione; cortesia vagapuntoinfo

I fatti e i numeri sono questi: con la decisione bulgara del 16 gennaio, il governo ha dato l’assenso all’ampliamento e alla trasformazione dell’aeroporto Dal Molin (sembra che, tra l’altro, verrà dismesso dalle sue funzioni civili dal gennaio 2008) in struttura militare americana, a servizio della 173ma brigade Airborne (la più temibile forza di attacco Usa attualmente operativa), ora divisa tra alcune basi tedesche (che verranno smantellate), Aviano (in provincia di Pordenone) e la locale caserma Ederle. A Vicenza sono presenti circa 5.000 soldati, che con l’ampliamento arriveranno a poco meno di 7.000; aggiungendo a loro i civili, si arriva a 20.000 persone, in una città che conta circa 113.000 abitanti. Lo sbilanciamento funzionale potrebbe mettere in crisi la città: a partire dalle implicazioni ambientali (a circa 3 km dal centro storico, in un’area comunque fortemente urbanizzata, l’insediamento occuperebbe 600.000 mc in una delle poche aree verdi interstiziali che rimangono) fino alla gestione dei servizi cittadini (le richieste americane prevedono consumi d’acqua tali da mettere potenzialmente in crisi la fornitura alla città intera), passando attraverso questioni di sicurezza (gli standard del progetto richiedono protezioni antiterrorismo), di qualità generale di vita, d’inquinamento ambientale e acustico.

Il progetto, presentato inizialmente al Senato americano il 1 marzo 2005 dal generale James L. Jones, comandante europeo dell’esercito americano, come “progetto di espansione delle attrezzature ed infrastrutture nell’area di Vicenza, includendovi l’aeroporto Dal Molin” e nell’arco di un anno (7 marzo 2006) si prefigurava già come una sorta di progetto esecutivo, preciso nei dettagli funzionali ed esecutivi, con il disegno degli edifici che “riprenderà i caratteri stilistici architettonici Palladiani”: prima tranche stanziata, 306 milioni di dollari. Le condizioni politiche di gestione di strutture simili portano a una esclusione dai processi pianificatori locali: considerato che le basi militari americane godono della condizione dell’extraterritorialità (come le ambasciate) e che gli aeroporti sono sottoposti a regime demaniale, il loro futuro viene trattato direttamente dai governi, soprattutto in considerazione dell’esistenza di accordi internazionali tra diversi Stati. Inoltre, ça va sans dire, non tutti gli accordi internazionali tra diversi Stati sono resi pubblici. In altre parole, è lo strumento pianificatore locale che giocoforza si deve adeguare alle esigenze sovrane.Le ricadute occupazionali attuali coinvolgono direttamente circa 750 italiani, che lavorano nella base militare e che potrebbero aumentare di circa altre 500 unità. I sostenitori all’ampliamento si fanno forti di queste cifre, ma dimenticano di aggiungere che lo Stato italiano si fa carico di parte delle spese sostenute dagli Usa per le basi militari nel proprio territorio: 367 milioni di dollari per il 2002 (al cambio 2002 circa 350 milioni di euro, di cui stimati per la base vicentina circa 40). Aggiungendo a questo l’indotto, un’analisi costi-benefici approfondita potrebbe diradare molte nebbie sulla questione.

La trasformazione, appoggiata dagli industriali locali, potrebbe comunque non portare quelle sperate ricadute economiche locali. Nella pre-iscrizione al bando d’appalto (termine il 6 marzo) per la realizzazione del complesso (valore stimato tra i 250 e i 500 milioni di dollari), gli strettissimi requisiti di partecipazione potrebbero mettere fuori gioco le imprese locali, in quanto non abbastanza qualificate e dimensionate. Infine, i tempi stimati: si prevede un’operatività completa entro il 2010.

Come parlare della questione urbanistica senza mettere in campo la questione umana? Ovviamente non si può: l’urbanistica, sia vista verso la programmazione che verso il passato, come studio della città, porta dentro di sé la questione umana. E in questo caso la questione umana conta le teste: i giornali ci dicono che nella protesta di Vicenza di sabato 17 febbraio 2007 erano presenti circa 100.000 persone. L’occhio ci testimonia di una grande festa, di migliaia di persone accomunate dall’idea di poter guidare assieme il futuro della propria città. Certo, non tutti erano vicentini: ma questo non ci dice altro che vi sono questioni trasversali che toccano la trasformazione del territorio che attraversano tutta la penisola – così come un oleodotto sotterraneo attraversa tutta la pianura padana per portare carburante per aviogetti dal porto di La Spezia fino ad Aviano, unendo due punti apparentemente lontani con una funzione specifica.

Questa vicenda, prima ancora che questioni politiche, pone una questione generale a proposito della reale autorità dell’urbanistica, intesa come discliplina deputata a studiare la progettazione, la trasformazione e il funzionamento degli spazi e dei centri urbani. Nei fatti, e non solo in questo caso, per i grossi interventi sembra che molte decisioni non siano prese scientificamente, bensì sulla base di rapporti di forza, e ad onta di molto: sostenibilità, vincoli, opportunità. Parimenti, e per contro, il complesso di norme vigenti, spesso farraginose, accavallate e ridondanti sembrano diventate un opprimente fardello per i piccoli interventi e obbligano, in linea generale, a edificare scatole standardizzate e mediocri. A questo, si aggiunga un ulteriore e non trascurabile problema: il decentramento nella gestione degli strumenti urbanistici. In Regione Veneto, ad esempio, tramite i Ptcp (Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale) e i Pat (Piani di Assetto del Territorio). Di per sé questa delega di poteri è indubbiamente positiva. Tuttavia i piani, sottoposti a pressioni crescenti, lasciano travedere in prospettiva ulteriori problemi di tenuta, perché le barriere antisfondamento si assottiglieranno naturalmente al discendere del livello decisionale. Col rischio di produrre dei pastiches che, ciò nonostante, saranno perfettamente normati.

Julian W. Adda e Gabriele Toneguzzi

Articolo apparso su Il Giornale dell’Architettura n 49 del marzo 2007 e sul quotidiano Il Riformista il 31 marzo 2007

This entry was written by gt, posted on 2 Aprile 2007 at 19:15, filed under Architettura, Articoli/scritti, Biblioteca, Riviste, Territorio. Bookmark the permalink. Follow any comments here with the RSS feed for this post.

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