Gabriele Toneguzzi

Antonio Boggeri: commento; LVCI ed OMBRE, annuario della fotografia artistica italiana

Stefano Bricarelli, una rampa elicoidale alla Fiat (1929)
Stefano Bricarelli, una rampa elicoidale alla Fiat (1929)

Nell’interessante ed innovativo saggio che segue, ripreso da LVCI ed OMBRE – annuario della fotografia artistica italiana del 1929 –, Antonio Boggeri (che dopo pochi anni, nel 1933, aprirà il suo prodigioso studio di grafica) parla, fra l’altro, di « nuova estetica », « di spostamento del punto di vista dell’obiettivo ». E pure d’un rinnovato modo di vedere, d’un guardo indagatore che lascia travedere la « faccia segreta di questi elementi ».
Una delle due opere da egli considerate maggiormente importanti per la raccolta cui si riferisce il commento è quella molto suggestiva di Stefano Bricarelli riportata appena qui sopra. Si tratta di una rampa della fabbrica del Lingotto terminata pochi anni prima (1922) da Mattè Trucco definita, ad esempio, da Le Corbusier in Vers une architecture « certamente uno degli spettacoli più impressionanti forniti dal mondo dell’industria ».

Gabriele Toneguzzi

« La photographie est actuelle » C. De Santeul

Le diverse raccolte di « Luci ed Ombre » mostrano, a chi le voglia considerare nel loro organico insieme, lo sviluppo e i progressi della fotografia contemporanea in Italia. Esse sono come le tappe di un viaggio, con le sue soste e le sue riprese, di cui l’ultima rappresenta ogni volta la fine e lo scopo. Sotto questo aspetto dunque si potrebbe dire che l’odierna edizione comprenda e concluda tutte le precedenti, e come il suo principio ordinatore e critico procede dal passato, il suo commento prende la corsa dall’ultimo traguardo.

Fatta questa premessa ci si perdonerà se abbandoneremo di proposito quei temi estetici o tecnici o polemici, già trattati e svolti in ogni senso, per discorrere solamente della fotografia quale ci appare nella sua viva attualità.

Un rapido sguardo alla produzione internazionale rivela, nei suoi caratteri più salienti, una evidente affinità di tendenze e di metodi. Ciò significa che essi rappresentano realmente lo spirito moderno della fotografia nella sua espressione universale.

Tali caratteri fondamentali e distintivi riguardano la scelta del soggetto, la sua illuminazione e il punto di vista dal quale colpirlo. Nei pratici risultati di più, appare bandita ogni concessione al gusto popolare, e lo sfoggio di virtuosismi tecnici lascia il posto, poco a poco, ad una aristocratica semplicità dello stile.

I soggetti fotografici di una qualche pretesa hanno sempre voluto identificarsi con quelli della pittura. Pochi esempi basterebbero a dimostrarci che nei momenti di voga popolare di un artista o di una maniera di dipingere, la fotografia ha cercato accanitamente la loro imitazione. L’orientamento del gusto dei nominati fotografi d’arte, ha sempre seguito gli alterni movimenti della pittura, ricorrendo quando la tecnica più perfezionata non bastò, ai sottili accorgimenti e alle esperienze del mestiere: manipolazioni dei negativi, complessi e laboriosi procedimenti di stampa, preparazione di carte speciali, ecc. Nacque così la scuola che chiameremo d’interpretazione libera del negativo; scuola che detiene tutt’oggi un posto d’onore coronato di brillanti affermazioni.

Soprattutto nella fotografia di paesaggio le opere di pittura hanno aperto un credito illimitato alla fotografia, che ne ha approfittato non poco. Di conseguenza i giudizi che di solito si formulano sopra tali risultati, sono per la maggior parte un semplice saggio comparativo. E difficile d’altra parte sottrarsi all’evidenza delle origini tanto chiaramente denunciate dagli stessi autori, i quali da ultimo suggellano la loro opera con un bel titolo preso a prestito dai dipinti maggiori.

Ma ecco che appunto nei moltissimi esempi che più ci colpi scono, l’ispirazione del soggetto fotografico si stacca dalla pittura per fissarsi in una sfera d’azione più libera e indipendente. Cioè la pittura ha, sì, in comune col contenuto di queste fotografie l’organica armonia della composizione, la distribuzione equilibrata dei valori plastici, delle luci e delle ombre, ma non più l’origine dell’idea creativa.

È che l’obbiettivo si è finalmente abbassato a sorprendere il volto delle cose più modeste e comuni, o rivolto ai regni finora inesplorati, e infine avvicinato in amoroso colloquio ai prodotti naturali, per conoscerne e riportarne le vergini meraviglie.

Qui la fotografia — contrapponendosi all’altra, di cui diceva mo più sopra — chiede soltanto all’ausilio delle sue risorse meccaniche il successo, e la dicono perciò fotografia pura o integrale. E i suoi prodotti hanno raggiunto in breve tempo un riconoscimento così caloroso e sincero d’entusiasmi, da lasciar credere che sia in essa il germe della tanta invocata fotografia-arte.

Fra le cause che hanno originato la nuova estetica, poniamo in prima linea la cinematografia.

La regola cinematografica assegnando alla fotografia un compito d’eccezione, ha mostrato quali bellezze di composizione, di chiaroscuro, di valori plastici, nascondessero le più umili cose. Tale compito riguardava in primo luogo la necessità pratica e inesorabile di raggiungere la massima chiarezza di espressione per mezzo di immagini di un significato visivo assoluto; e ancora di mantenere al grado superlativo l’interesse e l’attenzione della folla degli spettatori, altresì sui particolari minori e obbligati dalla trama.

Gli operatori che dovettero realizzare per primi un tale progetto, dimenticarono il decalogo della fotografia tradizionale. E, forse, qualcuno dei risultati che oggi tutti noi conosciamo, strapparono accenti di ammirazione e di sorpresa a loro stessi. L’immagine tradotta di un pensiero, originava una emozione di un valore intrinseco indipendente. Il particolare, il dettaglio ricercato a scopo didascalico, potevano dunque assumere un interesse anche solamente fotografico? E chi aveva mai fermato l’obbiettivo su tali soggetti? Chi aveva saputo guardarli in tale maniera?

Così dicendo sembrerebbe che soltanto il caso venisse allora in aiuto col confidare la luminosa verità. In effetti quel senso divinatorio che presiede a tutte le scoperte, anche le più banali, dominò fin dagli inizi la scuola dei cinematografisti. E subito furono una cosa sola coi suoi mille espedienti e risorse, formidabili alleati, le qualità ricercatrici dell’intimo e del segreto di ogni viva e morta esistenza. Ma intanto, e quello che più conta, la fotografia vera aveva fatto tesoro di così preziosi suggerimenti, e si apprestava con rinnovato ardore a metterli in pratica.

Trasportato dalla tela alla carta — e su questa applicato in senso assoluto — il concetto della ricerca di nuova materia fotografica entro i temi antifotografici per tradizione, sembrò subito insufficiente. A ripristinarvi la suggestione originale, pensarono e la genialità dei neo-maestri e il concorso di altri fattori, cresciuti intanto e indipendentemente. L’illuminazione artificiale applicata in scala maggiore e secondo criteri rivoluzionari (sorgenti luminose plurime e contrastanti; fondamentale compito assegnato alle ombre massime ed alle massime luci rispetto alla composizione architettonica del quadro da riprodurre); lo spostamento del punto di vista dell’obbiettivo: in alto e sopra la scena (e ciò in seguito ai risultati stupefacenti ed allo studio della fotografie prese dall’aeroplano) e quindi in basso e al disotto, secondo la conseguente teoria dei contrari.

Enunciati così grossolanamente e senza rigore di ordine crono logico taluni momenti superati dalla fotografia moderna, bisogna saperne scorgere i segni del progresso e valutarne i frutti. Fuse inconfondibilmente, sempre vi sono contenute le qualità distintive ora denunciate; ma fatte comprensibili e chiare da una tecnica ineccepibile, e messe al servizio di una disciplina che rifugge da ogni faciloneria o improvvisazione o casualità. Invece ogni rettangolo di carta contiene, tagliato dall’occhio inesorabile e selezionatore, la sintesi e la semplificazione di una idea di bellezza.

Così, se l’obbiettivo fissa la terribile calma di una macchina ciclopica, o si avvicina al fiore imbrillantato dalla brina notturna, è ognora diretto da una volontà precisa e limpidissima. Cerca questa volontà d’esprimere proprio il candore verginale, astratto, dal fiore, la potenza implacabile dell’ordigno, ma costruisce anche una magnifica fotografia con tutte le regole dell’arte. Ammirevoli la misura, il gusto, il grado di sapienza di queste immagini. E ci sorprende ogni volta la loro invenzione. Diremmo che, come davanti ad una fotografia di paesaggio troppo sovente rimpiangiamo l’originale, anche se non l’abbiamo mai visto, una rappresentazione di cose ci tocca come una rivelazione. È che la loro immagine è latente in noi, e la realizzazione dell’aspetto più essenziale e fotogenico ce le fa riconoscere in un istante. Ma come nuova, e diversa, e sorprendente! Queste cose sono dunque distinte, catalogate a formare i temi, i postulati accetti da questa scuola?

Intendiamoci subito: i risultati di cui desideriamo parlare non ubbidiscono certo a delle regole di un ordine, o ad altri convenzionalismi; oltre essere il prodotto della sensibilità nostra attuale, essi si inquadrano nell’ambiente e nel clima odierno cari al nostro spirito. Ma, come in una continua rinascenza, ogni giorno che viene reca ai nostri avidi occhi sempre nuove e insospettate rivelazioni. Quanto alle cose che mirate nella loro superiore verità sorprendono, emozionano, esse ci dicono che la nostra vita interiore è popolata dai fantasmi (alterati, deformati) che quella esteriore vi proietta nostro malgrado, e che il paesaggio naturale coi suoi incanti e abbandoni lo ritroviamo in noi con un insensibile ma reale sforzo di adattamento. Uomini della grande città siamo impregnati del suo humus. L’ordine di vita, l’equilibrio dei nostri sensi, sono piegati e disciplinati dalla legge severa delle abitudini. E le nostre ci portano vicino a cose la cui vita e figura mai vediamo isolate, ma perennemente sopraffatte dalla dura regola quotidiana.

Soltanto un istinto di liberazione può lasciarci intravvedere la faccia segreta di questi elementi; e la visione della loro solitudine ci apparirà come uno spettacolo prodigioso.

Così non v’è pietra, meccanismo o corpo esistente che non sve li a chi sappia spiarlo l’aspetto più intimo suo; e noi tutti, mirandolo, ci sembrerà di vederlo la prima volta: ma già lo sentiremo nostro. E forse più ameremo le cose mediocri e comuni che l’abitudine fa apparire indifferenti o inutili o morte.

Così il paesaggio vero, lontano dalla diretta, vigile osservazione, certo più che dal nostro ricorso, non entra ancora nella nuova fotografia col suo impeto vivace e rinnovatore. La intimità dei suoi recessi ci sembra gelosamente chiusa, e la suggestione che ce ne viene è troppo generica e letteraria. E infine, a ben pensarci, l’emozione che più ci seduce e ammalia, proviene dalla sua impenetrabile e melanconica bellezza.

Le cose dunque in mezzo a cui viviamo, sono ancora quelle che interpretate con desiderio di penetrarne la segreta personalità, la solitaria poesia, i fotografi oggi inseguono nel breve campo, dove spazia la loro umana e inquieta passione.

Alla fine di un’altra annata di lavoro, ecco il bilancio netto del raccolto. Prima di tentarne la valutazione, ci si permetta di ricordare tre ordini di fotografie che, non essendo qui rappresentate, passerebbero senza cenno.

Vogliamo alludere alle fotografie d’animali, a quelle che chiameremo specializzate, e da ultimo a quelle di nudo. Alle prime, ancorché il cinematografo vi signoreggi per virtù delle sue naturali, intuibili risorse, si devono i risultati eccellenti che un gruppo di maestri tedeschi produce instancabilmente. Sono fotografie dove si compie il miracolo di presentare il bello, oltreché il raro e interessante documento, facendoci dimenticare le fatiche e le difficoltà superate per conquistarlo. (Ovvio ci sembra far rilevare l’importanza dei pratici vantaggi che da tali originali vengano agli studiosi di vita animale). E forse per un singolare bisogno di emulazione, quasi tuffi questi saggi pretendono una valutazione ben più elevata delle comuni fotografie che illustrano i trattati di scienze naturali. Perché questo degli animali è un mondo che si può dire ancora vergine, e nessuno può certo prevedere ciò che potranno ricavarne i fotografi a lui più costanti e fedeli. Tuttavia esistono già dei lessici veri e propri contenenti tutti i pratici insegnamenti dettati da esperti di questa importante branca della fotografia. Speriamo dunque che anche da noi presto si vedano i primi felici tentativi coronati da vittoriosi risultati.

Fotografie specializzate sono, nel regno della fantasia ed eccentricità, quelle subacquee, degne dei sogni d’arte del popolo giapponese per le tenuità dei toni, finezze di disegno, miracoli di esecuzione: varietà infinite di argomenti e motivi tratti dal magico dominio della fauna e flora marina. Le fotografie aeree capaci di fissare e inquadrare visioni mai prima realizzate con altri mezzi. Prospettive audaci, trapassi d’immagini, tagli di paesaggio reale, ma come trasformato in guise curiosissime da una lente bizzarra e dilettosa. Stupende come i racconti favolosi sono le fotografie microscopiche, sulle quali l’occhio nostro sembra sempre incontrarsi la prima volta. Attraverso l’iperbolico ingrandimento, la semplice riproduzione di taluni tessuti vegetali o preparati organici, cristallizzazioni e via dicendo, evoca tutte le libere immaginazioni del fantastico irreale.

E che dire delle fotografie cosmiche? I misteri del mondo astrale anche solo guardati con innocente curiosità o interesse estetico, emanano la più suggestiva attrazione.

Infine tutte le altre forme destinate a carpire il nuovo, l’inedito, l’originale, lo strano soggetto da fotografare facendone fine a se stesso, costituiscono altrettante specializzazioni della fotografia.

Venendo a parlare del nudo — con tutte le scusanti dovute alla facilità di scivolare nella pornografia — ci duole davvero dover constatare la mancanza di modelli nella presente raccolta.

Un argomento di questa importanza meriterebbe — tanti sono i venti polemici che lo investono — un suo proprio svolgimento. Ma pure giudicandolo soltanto attraverso l’elaborazione che le scuole straniere ne fanno, è facile trarne i necessari insegnamenti.

Lo studio del corpo umano stà alla base della disciplina del disegno e della pittura: e questo è un postulato. Ma la sua impor tanza capitale stà nell’essenzialità dei termini, poiché ogni estetica si ritrova in questa formula e la rinnova. In altre parole il nudo è la forma d’espressione classica ed immortale del bello, alla quale si ispirano, come alla perfezione, tutte le arti figurative.

Ora, non deve la fotografia, forte dei suoi principii nuovi, accostarvisi? Per essa vi sono manifestazioni caratteristiche alle quali il corpo umano partecipa come protagonista assoluto: prima, lo sport.

Chi di noi non ha goduto lo spettacolo di un corpo d’atleta in azione? Possiamo pensare a tutte le forme di atletica senza vederne, sempre nitidamente, le plastiche realizzazioni dei suoi allievi? Si può dunque dire che per un obbiettivo investigatore non vi siano più vasti orizzonti sui quali spaziare.

E le palestre dovrebbero avere tutte il loro fotografo.

Per gli studi di insieme e di composizione insegneranno le lezioni di ginnastica ritmica nelle quali gruppi di adolescenti, conseguendo lo sviluppo del corpo attraverso i razionali criteri attuali, scandendo i movimenti sulla battuta musicale, compongono armonici quadri di coreografia moderna. E sono appunto conseguenti a questi criteri di studio gli splendidi saggi che qualche fotografo geniale prepara. Bisogna sapervi leggere. Al nudo femminile, goloso tema, si deve riserbare il posto più discreto. La fotografia, alla prova dei fatti, riesce difficilmente ad innalzarsi al livello della nobile idealità purificatrice.

Invasa dall’ardore della giovinezza battagliera, corre la sua corsa vittoriosa la fotografia pubblicitaria. Non parlarne è impossibile: da ogni parte scorgiamo i segni del suo passaggio. Ma parlarne qui ci sembra sconfinare dai limiti che ci siamo imposti, mentre l’argomento richiederebbe una particolare attenzione, una digressione di più ampio respiro. Ci limiteremo a ricordare che alla fotografia pubblicitaria si devono i progressi maggiori della fotografia intesa come creazione e come distacco dal verismo rappresentativo, e che risiede nel suo scopo fondamentale — messa in valore dalla personalità nascosta delle cose rappresentate — il germe da cui nasce il fotogramma.

Antonio Boggeri

sta in LVCI ed OMBRE, annuario della fotografia artistica italiana, il corriere fotografico, Torino, 1929.

This entry was written by gt, posted on 9 Febbraio 2007 at 12:06, filed under Articoli/scritti, Biblioteca, Fotografia, Grafica, Riviste, Storia. Bookmark the permalink. Follow any comments here with the RSS feed for this post.

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