Gabriele Toneguzzi

Parigi val bene una massa! (sp dixit)


Notre Dame de l’Arche d’Alliance, Paris
(Cliccare: galleria di undici immagini)

XVème arrondissement, 71 rue d’Alleray.

Vaugirard. Esco dalle budella della città, mentre le nari me ne rimandano ancora i nauseabondi effluvi.

Rue d’Alleray. Cinque… dieci… venti… trenta… trentasei… quarantatre. Snocciolo numeri che sembro Figaro; cerco un diavolo di fabbrica, e non riesco a trovarla. Dovrebbe esser qui; piccola come un ago, se c’è, non è! Sto per scassarmi: dopo la magra sorpresa di stamane, il cantiere attaccato con una fettuccina al parvis de la Défense, m’attendo – vada bene – qualcosa di simile. Le facciate lasciano spazio ad un varco… ecco: ottantuno! Finalmente, dopo averla vista, condensata in maquette, alle Zitelle, l’ho innanzi.

Cum animam gementem, contristatem et dolentem: NON è nera! Marron, d’un marron che rimembra poco edificante altro. L’oscuro cubo avrà spaventato il cardinale? Qui s’ammicca al santuario dell’Islam!

Qualsivoglia il motivo è, ahimé, certo non poca perdita, la tinta.

Lo scheletro esterno, la griglia, ipotetico tramite, dissolvenza tra sacro e profano sarà dipoi, a casa, tema d’un inedito, personale Aguzzate la vista: quarto livello dal basso, manca il terzo montante da sinistra.

Forse il desiderio di attenuare l’eccesso d’ordine, una boutade, come la finestrella ruotata nel reticolo, Quinta da Lago, Souto de Moura.

Ruoto la testa d’impiedi e rimetto ritto, come meglio mi garba, il sesto degli esili fusti d’acciaio: allineamenti visivi in gran copia; una sorta di pioppeto metallico.

Legno di rivestimento esterno previsto: sostituito. Succedaneo, pannelli in HPL, laminato ad alta pressione. Ave Maria impressa in caratteri gialli fitti sulla superficie, intelligibile solo gran dappresso. Altro rimando all’Islam…

Scalinata. La sorte mi assiste. Nuvole vanno e, adesso, vengono; scatto, leggermente sottesposto. Produco, casualmente, quel che avrebbe dovuto esser vera faccia: uno scorcio scuro.

Entro. Croce, croce, croce; croce 3D scavata nel cubo, croce incavata sul parterre, finestroni a croce, croce proiettata sull’abside e griglia crociata di delimitazione.

Dimentico della vera Croce, quale croce dimentico? Ah, quella minuscola reiteratamente incisa sul rivestimento interno; se è via crucis, veramente brutta è.

Croce sull’oculo. Gli piazzo sotto la reflex: paura d’abbruciare il film. Sottoespongo nuovamente. Ottengo una croce in più, inesistente, sulla griglia del sancta sanctorum. Potenza della Luce!

Dintorno non si scorge centimetro d’intonaco, se non attraverso pannelli a lamelle. Neon incassati a terra riverberano sui quattro cantoni, enfatizzandoli.
Muri e soffitto, tutto è Hpl (laminato ad alta pressione), come all’esterno, ma senza scritte. Nessun decoro. Molto è bellamente essenza.

Abside. Tabernacolo cruciproiettore, lampada votiva; tavolaccio-sedile, il coro. Altare: nettissimo parallelepipedo immacolato in Carrara. Candelieri: tre snelli cilindri d’acciaio, incassabili sinistra/destra sul pavimento ch’è ardesia, a spacco. Illuminazione: impercettibili terminali in fibra ottica, piazzati sotto bordogriglia, rischiarano la mensa. Ambone, o per meglio dire leggio, distante dalle equazioni canoniche. È acciaio, sospeso ed agganciato lateralmente ad un montante, provvisto anch’esso della brava crocetta.

Exsultate, jubilate? Via, no… ma il catino è ensemble eccellente, forse la parte più riuscita del tempio.

Tribune ai lati; passerelle sospese destinate ad accogliere opere d’arte?

Avanti, i finestroni – adduttori di troppa luce –, spero non abbandonati. Anzi. Piuttosto destinati alla primitiva finitura in alabastro, col Verbo traslucido impresso. Amen!

Nuovamente attrattovi, passo sopra la croce incavata nel pavimento; intravedo il fonte battesimale che si guadagna tramite la ripida scaletta, racchiusa da lastre vetrate sorgenti di sotto in su.

Muove sulla diagonale, la scala; parte, eccentrica, verso il vertice del quadrato opposto al fuoco sacro e si distende contemporaneamente in basso; risvolta su d’un pianerottolo triangolare arrivando, sdoppiate e sparse le ultime quattro alzate, nella spoglia aula dell’iniziazione.

Sulla fonte, scolpite fronte, fonti corpo vario invitano all’antifona d’entrata: « Dans le nom du Père… »

Fuori, dodicicolonne/dodiciapostoli/dodicitribùd’Israele abbracciano del battistero la cinta, sostenendo un cubo sopraelevato, il cui liscissimo estradosso inferiore, sbalzando, si raccorda alle altre facce tramite l’inefficace cornice a dentelli. Consunta memoria wrightiana?

Progetto, date contraddittorie; chi indica 1986 chi 1988. Ho null’affatto voglia di controllare. M’importa più sapere sia stato realizzato ben dieci anni dopo, a distanza di trent’anni (lasso temporale eloquente) dall’ultima consacrazione d’un nuovo edificio di culto dans cette ville.

1992: Pierre Vérot e Franck Debié: «Il progetto di Architecture Studio sfiora quasi il ridicolo moltiplicando i simboli […] che saturano lo spazio senza alcuna utilità autenticamente discesa dalla tradizione e dai bisogni della Chiesa»

No, di sposare questo giudizio, in gran parte, non me la sento.

Per esempio, WAM: KV 317, Krönungs-messe. Gloria; soprano, alto, tenore e basso saturano, al Domine Deo, lo spazio sonoro intonandone contemporaneamente le diverse parole, moltiplicandole, sfasandole, sovrapponendo voci, rendendo ridondanti e, teoricamente, incomprensibili… proprio i simboli. Eppure, a sentire, così non è.

È Architettura. Sacra.

In somma delle somme, fra molte chiese dall’aria dozzinale, ecco, ritratta, Notre Dame de l’Arche d’Alliance.

Ventiequaranta: ci si stacca da Roissy, fra stuoli di lepri indifferenti.

Avanti Le Bourget, il gallico capitaine fa gracchiare gli altoparlanti: « Voici, a votre gauche il y a le Stade de France où hier nous avons gagné… ». Appena in là, prima di tagliare la città, ecco l’Arche, stavolta battezzata Grand.

Coin est Cnit, appoggiato al parvis il puntino che attendevo: la gru già vista dal basso, segnale d’una prossima, promettente visita.

14 luglio 1998

Gabriele Toneguzzi

La Cité Celeste dessine un carré
Alors, l’un des sept Anges aux sept coupes remplies des sept derniers fléaux s’en vint me dire: « Viens que je te montre la Fiancée, l’Epouse de l’Agneau. » Il me transporta donc en esprit sur une montagne de grande hauteur et me montra la Cité sainte, Jérusalem, qui descendait du ciel, de chez Dieu, avec en elle la Gloire de Dieu. Elle descendait telle une pierre très précieuse, comme une pierre de jaspe cristallin. Elle est munie d’un rempart de grande hauteur pourvu de douze portes près desquelles il y a douze Anges et des noms inscrits, ceux des douze tribus des fils d’Israël; à l’orient, trois portes; au nord, trois portes; au midi, trois portes; à l’occident, trois portes. Le rempart de la ville repose sur douze assises portant chacune le nom des douze Apôtres de l’Agneau. Celui qui me parlait tenait une mesure, un roseau d’or, pour mesurer la ville, ses portes et son rempart; cette ville dessine un carré: sa longueur égale sa largeur. Il la mesura donc à l’aide du roseau, soit douze mille stades; longueur, largeur et hauteur y sont égales. Puis il en mesura le rempart, soit cent quarante quatre coudées. […] De temple, je n’en vis point en elle; c’est que le seigneur, le Dieu Maître de tout, est son temple, ainsi que l’Agneau. (Ap 21, 9-17.22)

La Gerusalemme Celeste/la Gerusalemme messianica
Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: « Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello. » L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. (Ap 21, 9-17.22)

Sta in: Architetti PD, 2000










This entry was written by gt, posted on 17 Novembre 2006 at 20:30, filed under Architettura, Articoli/scritti, Biblioteca, Riviste. Bookmark the permalink. Follow any comments here with the RSS feed for this post.

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